di Armando Cervetti
Il 10 ottobre è uscito per Feltrinelli,
1960. Io reporter, che raccoglie le immagini scattate dal 1955 al 1965 dal giornalista e scrittore napoletano. Classe 1927,
Ermanno Rea, un passato da giornalista e un presente da scrittore, di costante ha sempre mantenuto la passione per la fotografia e il reportage. Tanto che alla fine degli anni '50 interrompe la carriera giornalistica all'Unità per dedicarsi unicamente allo scatto e andare in giro a raccontare il mondo con tre Leica e una Rolleiflex. Rea ha fotografato le condizioni di vita – spesso difficili – del Meridione italiano e di molti altri paesi, dal Giappone all’Irlanda, dalla Germania al Nepal.
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Ermanno Rea (© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano) |
Il Libro
"1960. Io reporter» (Feltrinelli, 238 pagine di grande formato, 25 euro) è il libro che ci tramanda una parte del lavoro fatto in quegli anni da Rea in diverse parti del mondo, dal nostro Mezzogiorno al Nepal, dal Giappone all'Africa, dalla Germania all'Irlanda.
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Ermanno Rea (© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano) |
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Ermanno Rea (© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano) |
Preceduto da un ampio e intenso racconto delle vicende, spesso assai cupe, che si intrecciarono a quella scelta professionale, è in sostanza ciò che rimane di un grosso archivio che per la maggior parte è andato disperso (perché trafugato mentre era in deposito presso un'agenzia di Milano), e che tuttavia, per la parte residua, recuperata in modo spesso fortunoso, ben documenta una sensibilità tipica dell'epoca, lo spirito di un lavoro fatto tenendosi sempre dalla parte degli ultimi, di quel proletariato le cui sorti restavano centrali anche nella visione di un intellettuale profondamente deluso dalle ambiguità, dagli equilibrismi, dalle menzogne della macchina-partito. Documenta, inoltre, la prima stagione del fotogiornalismo italiano, quella di maestri come Garrubba e Sansone — poi ne vennero molti altri, da Dondero a Mulas — in un'epoca in cui quel mestiere si poteva scegliere come abbracciando il sogno di una vita piena e avventurosa, benedetta da tanti privilegi (compreso, persino, quello economico), sia pure subordinati al grado di intelligenza e di apertura mentale dei committenti, tenuto conto del fatto che «i direttori dei giornali in genere non capiscono un cazzo, quasi peggio dei loro redattori dipendenti» (ma nel racconto di Rea ci sono anche direttori di tutt'altra pasta, primi fra tutti Mario Pannunzio e Gaetano Tumiati)". (fonte:
corriere del mezzogiorno)
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